giovedì 22 agosto 2013

Viaggio nella provincia: San Bartolomeo in Galdo

San Bartolomeo in Galdo per quanti come me risiedono tra Benevento e la provincia a ridosso della città rappresenta il baluardo estremo, il paese incastonato nel fortore a guardia del territorio. Fino a qualche mese fa non avevo mai visitato questo comune e non mi era capitato neanche di passarci o conoscere qualcuno del posto. Non che il paese non mi fosse noto, ma la distanza e la scarsa accessibilità non hanno mai necessitato una visita. Quanti mi parlavano di San Bartolomeo hanno sempre sottolineato che "...il paese è grande" e che, soprattutto, "su molte cose sono molto più organizzati dei comuni più vicini al capoluogo". Altri motivi di menzione erano legati alle eternamente tribolanti vicende dell'ospedale e alla non meno complicata storia della "fortorina", arteria stradale che da oltre 50 anni è annunciata e attesa come elemento di modernità (e che, probabilmente, è stata cominciata solo grazie alla notorietà raggiunta da Pietrelcina intorno all'anno 2000). Raggiungere San Bartolomeo è una esperienza visiva ed emotiva. Partendo da Benevento e volendo percorrere tutto il (pre) fortore si ha un'idea completa di questo territorio, delle sue bellezze, delle sue emergenze. Superata Pietrelcina ci sono due possibilità: attraversare Pesco Sannita, tagliare per la frazione di Monteleone e superare San Marco dei Cavoti, oppure costeggiare il comune di Pago Veiano, scendere a Calise ed arrampicarsi fin dopo Molinara. Da qui in poi, escludendo le varie scorciatoie che i vari esperti della zona giureranno di conoscere, il percorso si congiunge. La prima meta è una meta dell'immaginario per molti "cittadini": Casone Cocca, il 'valico' fortorino a partire dal quale si incomincia ad essere accompagnati dalla costante presenza delle più o meno giganti pale eoliche. Arrivare a Foiano non è molto agevole, sia per i continui rallentamenti obbligati dalle frequenti curve che per la qualità dell'asfalto, fermo restando che risulta davvero difficile trovare un traffico sostenuto e c'è tutto il tempo per godersi gli scorci offerti soprattutto dal lato destro della strada. Foiano di Val Fortore è praticamente attraversato in mezzo ed il campo sportivo chiude il confine del paese proiettando la strada verso San Bartolomeo. Qui ritorna una presenza costante in tutto il percorso da San Marco: il bosco. Sembra, infatti, che l'origine del nome del più importante comune del fortore vi sia, di fianco al rimando al culto del patrono beneventano, il toponimo di radice germanica wald (foresta). Il bosco accompagna il viaggio ed è già alle spalle una volta raggiunto il bivio Ponte Sette Luci. Sulla sinistra pochi km separano da Baselice ed un'ultima salita fitta di curvoni conduce fino ai circa 600 mt di San Bartolomeo in Galgo. Dicevo in apertura che queste righe sono ispirate da una esperienza personale, quindi "vera" quanto può essere legittima la soggettività. Arrivati a San Bartolomeo ci si rende conto che non esiste un vero e proprio "ingresso" e risalta evidente la divisione in due dell'abitato con il centro storico molto ampio della zona di più moderna urbanizzazione. Il comune non appare molto abitato a dispetto della grandezza e i poco più di 5000 abitanti (numero comunque notevole per un comune del beneventano) da solo basta a chiarire molto del declino del nostro territorio nell'ultimo sessantennio. San Bartolomeo solo negli anni '50 superava le 10.000 unità (regressione demografica che non ha risparmiato alcun comune sannita). A dispetto delle difficoltà legate ad una innegabile marginalità logistica (la stazione più vicina si trova in un'altra provincia e l'unico bus per/da Benevento ha 2 corse giornaliere solo nei giorni feriali), il comune è dotato di numerosi servizi (tutti i gradi scolastici compreso un liceo Scientifico ed una "Università Popolare del Fortore" ), un ufficio postale attivo con frequenza giornaliera (spesso è un lusso anche questo nella nostra provincia), farmacia, cinema, biblioteca, un'area Wi-Fi free e tanti altri che non ho avuto modo di riscontrare nella mia breve frequentazione. San Bartolomeo si presenta ai miei occhi una cittadina pulita e curata. Con frequenza ho ammirato delle persone (operai comunali?) intenti nel riordinare fioriere ed aiuole. Il centro storico - in parte carrabile solo dai residenti e dai proprietari dei numerosi negozi - si sviluppa lungo via L. Bianchi e il Corso Roma interrotte solo dalle piazze Municipio e G. Garibaldi. Altre stradine e piazzette più appartate completano il centro che si spegne lungo l'ampia via P. Circelli dove di tanto in tanto sosta qualche banco di verdure e prodotti delle campagne limitrofe. Poco lontano da piazza Garibaldi, il venerdì mattina, non manca l'allestimento di un piccolo mercato del pesce. Pesce che non manca neanche nel menù di alcuni ristoranti del posto (di cui uno molto noto nella provincia). Il mio interesse per San Bartolomeo è soprattutto socio-antropologico e gli incontri, le immagini e i discorsi rubati nelle stradine mi parlano di un paese con una forte connotazione comunitaria ed identitaria. Gli abitanti appaiono discreti sebbene molto cordiali se invitati al dialogo. Dalla scuola alla piazza si denota una costante propensione e ricerca della condivisione che contribuisce all'instaurazione di un clima familiare anche agli occhi dell'osservatore. Le difficoltà non mancano e i tanti portoni chiusi, le finestre sbarrate, i pochissimi giovani tra i 20 e i 40 anni e i numerosi anziani che passeggiano in piazza, sono il manifesto delle sconfitte del nostro territorio e della voglia/consapevolezza di dover andar via. Le opportunità che restano sono tutte figlie del passato e delle ricchezze di madre natura. San Bartolomeo, al di là della curiosità di aver dato i natali alla madre di Rocky Marciano, si lustra di aver visto nascere la personalità di Leonardo Bianchi, del maestro Egidio Cirelli e di altri uomini con una importante storia umana e professionale. Non mancano luoghi e manufatti di interesse storico: la Chiesa di San Bartolomeo con il bel rosone, i due portali del XV sec. e la nuova porta di bronzo; la seicentesca Santa Maria degli Angeli con annesso convento dei frati minori; il palazzo Catalano e il palazzo Martini. Probabilmente troppo poco per pensare/sperare in un turismo appositamente dedicato. Non ho tanto tempo a disposizione e, incuriosito da un murales, faccio qualche domanda in giro e scopro una storia di protesta e rivendicazioni che mi riporta fino al 1957. Una delle tante vicende che dovrebbero echeggiare nei nostri programmi scolastici e che parla di un gruppo di coraggiosi che nel giorno della Domenica delle Palme decisero di urlare le proprie disgrazie fin sotto il Palazzo di Roma capitale. Fu chiamata "Marcia della fame" sebbene s'interruppe con la forza a pochi km dal paese. Un gesto incompiuto raccontato diversi anni dopo da Carrasco e dagli Inti-Illimani attraverso un murales e al quale dedicò un documentario il grande Ugo Gregoretti. Dal 2010 è stata definitivamente riscoperta questa pagina di storia ed ogni anno un murales celebra un tema ricorrente. Anche alla luce di quest'ultima scoperta, mi convinco sempre più che la più grande risorsa di e per San Bartolomeo siano i suoi cittadini e la loro capacità di reinventare il proprio futuro prossimo. Tutto ciò all'interno di una dimensione identitaria con valori sui quali investire evitando il più possibile una folclorizzazione degli stessi. Lascio San Bartolomeo in un giorno speciale per i suoi abitanti. Non vi è strada non occupata dai residenti della zona intenti a colorare con petali e ornamenti l'asfalto di viali più o meno principali. È Il Corpus Domini ed i sanbartolomeani si preparano a vivere un nuovo rito collettivo.

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