lunedì 9 settembre 2013
Pomeriggio a casa Mastronunzio
Cronaca di un pomeriggio nello studio dell’artista beneventano Antonio Mastronunzio. Un viaggio artistico nella sua casa-laboratorio in una cornice di colori, odori e suggestioni.
Antonio Mastronunzio è un pittore e scultore sannita nato il 29 febbraio del 1956. Dopo gli studi al liceo artistico di Benevento ha frequentato l’Accademia delle Belle Arti di Firenze e di Napoli. Ha all’attivo numerose mostre sul territorio nazionale, Bologna, Torino, Firenze, Napoli, Viareggio (per citare le principali), una ‘personale’ nella Repubblica Domenicana e nel 1990 ha esposto alla Galerie Jesse di Bielefed in Germania. L’artista, inoltre, nel Centro Gallerie Martani d’Arte Moderna - Ca’ La Ghironda - di Bologna ha allestito un’esposizione permanente di 90 sculture in pietra di Lecce e bronzo che danno vita a L’isola di Pasqua.
Giuseppe Pittàno in una interessante recensione afferma che incontrare Mastronunzio è uno di quei doni che la vita offre raramente (...) pochi minuti per scoprire sotto quella scorza semplice e bonaria l’anima di un delicato poeta.
Il nostro incontro ha inizio alle 17,00 di un pomeriggio feriale. Raggiungiamo il domicilio 7 di via San Cosimo dove l’artista ci aspetta per mostrarci i suoi lavori e forse dipingere per noi una tela. Raggiungere “Casa Mastronunzio” può essere considerato propedeutico all’incontro con l’artista. Spalle a Port’Arsa, con a sinistra il Ponte Leproso, passata la cappella dei santi Cosma e Damiano, si costeggia la recinzione della Stazione Ferroviaria “Appia”. In questo percorso dalle suggestioni contrastanti si è proiettati con immediatezza fuori dalla città in un contesto che parla di un’appena perduta ruralità di cui l’abitazione del pittore e scultore beneventano ne è una significativa testimonianza. In realtà “Casa Mastronunzio” dall’ingresso al cortile fino al ‘nucleo domestico’ rappresenta un introduzione verso una conquista emotiva della sua arte.
L’artista ci accoglie con modi molto cortesi ed il suo saluto scandito da ‘baci familiari’ chiarisce subito il clima che si respirerà di lì in poi. Un uomo di 53 anni di piccola statura, capelli ingrigiti ordinatamente scomposti; un paio di pantaloni tracciati da tempere multicolori e polveri di gesso e marmo e camicie or ora cambiate in base alla temperatura, alla comodità, all’umore. Il primo incontro con l’artista è consuetudine svolgersi nel cortile d’ingresso di quella sorta di fattoria dell’arte. Come accennato, il sito ricorda una piccola casa rurale ora adibita ad abitazione, laboratorio, esposizione e deposito d’arte. Una sensazione di disorientamento accompagna i primi istanti. La concreta difficoltà nel distinguere e collocare lo spazio circostante crea disturbo ed eccitazione. Una ecletticità di forme ed essenze che non si esaurisce nelle sculture prima in pietra, poi in marmo; nelle terrecotte, nei gessi, nei ‘siliconi’; ancora nei cocci, nei sassi, nelle ‘tavole’. Questa ricchezza di manufatti più o meno attentamente ‘lavorati’ non si dispone ad arredare lo spazio, tantomeno a riempirlo. Alberi incisi, pareti affrescate, selciati dipinti, recinzioni ornate sono coinvolti in questo dialogo di forme contribuendo ad una sorta di scomposizione armonica dell’ambiente. Un’organizzazione spaziale barocchista che abusa di metafore e allegorie, figure che indirizzano ad un’intuizione che la ragione ed i sensi non potrebbero riconoscere e percepire. Molti soggetti ricorrenti animano le forme che dal linguaggio lirico dei profili approda talvolta nella provocazione con picchi di brutale malinconia. Valutare il grado di intenzione è cosa difficile a farsi. Di certo questo caos disposto (ma non organizzato) si intensifica e abitua quanti avanzeranno fino all’ingresso per l’abitazione. Un’assuefazione che non sgonfia le suggestioni perché, è tra le mura della dimora che sculture e statue danno spazio ai colori delle tele, tavole e affreschi. L’alloggio dell’artista si limita ad un’essenzialità domestica. Due piccole camere e poco altro costituiscono lo spazio abitativo. Infissi, pareti e soffitto sono distinguibili con difficoltà in quanto, laddove non sono ornati, dipinti o incisi, tele e piccole terrecotte si appoggiano ad essi. Cosa difficile risulterebbe l’apertura di porte e finestre senza l’aiuto (ed il permesso) del maestro. Questa apparente ed invadente confusione non sembra condizionare l’artista che con sorprendente lucidità dà prova di poter percepire qualsiasi spostamento o manomissione. Un evidente disordine e trascuratezza interessano altri aspetti. Mastronunzio è un accanito fumatore e se l’odore intenso di colori e polveri fa parte delle condizioni per la permanenza nella sua dimora, mozziconi e sigarette costantemente fumanti accompagneranno l’intera visita.
Risulta evidente che entrare nella casa studio di Antonio Mastronunzio è quasi un’esperienza mistica. Dopo cinquant’anni di prolifica attività, l’artista sta vivendo ora quella che egli stesso ha definisce “quarta maniera”, fatta di intuizioni ed evocazioni suggestive. Mastronunzio dà vita alle sue creazioni lasciandosi commuovere da esse, vivendole e reinterpretandole secondo il suo gusto squisitamente surrealista. Le sue composizioni non ricalcano pedissequamente la realtà - in accordo ad un gusto realista che spesso e volentieri tende a nascondere ciò che è davvero importante mettere in risalto - ma si muovono da essa, nel senso che ogni paesaggio, ogni ritratto, verrà spogliato di tutte le caratterizzazioni oggettive e quotidiane, per divenire fulcro dell’esperienza dell’artista stesso, il quale riesce a coglierne le impressioni immediate pur lasciando intatto il senso profondo di realtà. Entrare direttamente in contatto con le opere dell’artista beneventano implica per il fruitore/osservatore un silenzio reverenziale, nel quale poter meglio tentare di comprenderne i motivi e le suggestioni. Nel domicilio di Antonio Mastronunzio non si troverà un solo angolo che non sia intriso di arte; e questo perché l’artista ha fatto della sua vita un continuo dialogo con essa. Meduse sognanti lasciano il passo a Veneri anti-conformiste. Equilibri formali raffaelleschi si alternano ad impianti scenici botticelliani fino a scorgere qualche punta espressionista.
Antonio Mastronunzio, partendo dalla lezione metafisica dei De Chirico, radicalizza il percorso surrealista esprimendo il reale funzionamento “dell’automatismo emotivo”. Una manifestazione onirica per accedere a ciò che sta oltre il visibile. L’arte di Mastronunzio non si pone, però, con intenzioni polemiche o di ribellione. La si può scoprire, talvolta, in veste provocatoria (come ad esempio nella raffigurazione di un “ultima cena” con 14 personaggi dalla dubbia provenienza) ma quasi sempre come una chiave di lettura intima del conoscitivo dell’altra realtà. Colli e figure allungate, che ad una prima e superficiale considerazione rimandano a Modigliani, si arricchiscono di un ‘manierismo’ lirico e fascinoso. La visione delle sue “veneri” suggerisce un sentimento di bellezza ideale di Botticelliana memoria. Mastronunzio, dal canto suo, distacca le figure dal mondo reale senza alcuna opposizione e la bellezza corporea è sostituita da un’idea di bellezza dell’anima in armonia con gli elementi della natura e del cosmo. Lo stesso spazio universale che ispira le sue “visioni” prende vita nelle gradazioni e nelle intensificazioni delle colorazioni. Gialli, verdi, blu, aranci vengono poeticamente interpretati ma se l’istinto lo richiede una quasi idillica aggressività definisce tonalità scevre di alcuna mediazione cromatica. Una bellezza sinuosa che anche nei ritratti maschili (inferiori per numero a quelli del sesso opposto) presenta un fascino “femminile” quasi come un’associazione emotiva tra bellezza ideale e femminilità.
“Casa Mastronunzio” un’alcova surreale. Luogo di incontri intimi con l’arte che nel caso dell’artista beneventano non fa abusare del lemma.
Antonio Mastronunzio gode di una discreta notorietà che attende di emanciparsi per una consacrazione che stenta a giungere al definitivo riconoscimento solo a causa della incontrollabile irrequietezza che è propria di alcune vite il cui spirito è talvolta poco incline a compromessi più o meno edificanti.
Ci accorgiamo che ormai la luce del giorno ha fatto spazio ai lampioni dell’immediata periferia beneventana e dopo circa quattro ore di presenza in “Casa Mastronunzio” è arrivato il momento di salutare l’artista. Ci allontaniamo con un ritratto che in quel pomeriggio stesso ha dipinto per noi ed invitandoci a ritornare ogni qualvolta ne sentissimo l’esigenza ci ringrazia perché attraverso la composizione di quella stessa pittura gli è stata offerta la possibilità di emozionarsi. Soltanto la nostalgia che caratterizza la sua separazione dalla tela chiarisce la misura ed il valore di quella emotività tutta imperniata sul tempo dell’azione pittorica, un momento di vissuto tra le parentesi della vita domestica e sociale.
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