giovedì 29 agosto 2013
Morcone abbraccia Massimo Troisi
Di lui si è detto essere il comico dei sentimenti, l'erede ultimo del teatro napoletano, il figlio d'arte di Eduardo, un 'semplice' comico dialettale e tante altre definizioni. Tutti ricordano il suo "Postino" ed in tanti hanno riso ammirandolo nelle vesti di Maria al grido ridondante della "Annunciazione! Annunciazione!". Per me Massimo Troisi rappresenta un piccolo grande tassello nei doni che una esperienza di vita può offrire. Non credo si tratti di idolatria ma di una vera e propria passione, di quelle dalle quali prendi ed in parte dai. È strano notare come quelli che amano Troisi, prima ancora della sua produzione cinematografica, ricordano e raccontano le sue interviste, gli interventi pubblici e in tv, gli aforismi, gli sguardi, i sorrisi malinconici. Quello che ho sempre amato di lui è il suo disamore per la retorica, il ruolo ed il rispetto dato alla donna (in tempi non ancora tanto maturi), l'ostinazione a parlare sempre e comunque col suo accento dialettale ("...se parlate toscano io vi devo capire e allora dovete capire pure il Napoletano"), i suoi punti di vista sempre trasversali che tendevano a dare visibilità anche a quelle parti marginali (Giuda è un pover'uomo; Noè un bigotto; il devoto è un egoista; etc.), il poetismo della sua malinconia. Massimo Troisi è nato a San Giorgio a Cremano cittadina dalla quale ha portato con sé modi, espressioni, ricordi ed un napoletano tutto indigeno. Dal 1994 è ritornato per sempre nel suo paese e nel cimitero lo ricorda un sobrio e intenso monumento funebre. Il legame che c'è fra Troisi e la sua terra è indissolubile, non fosse altro che lì vi è nato e cresciuto. Una terra che non manca di tradire come quando si dedicò al teatro contro l'alternativa del "posto" raccomandato o come quando dovette emigrare a Roma (perché a Napoli un attore può nascere ma non lavorare) e chissà in quante altre occasioni. L'ultima in ordine temporale riguarda il "Premio Troisi". Dopo i fasti dei primi anni - la prima edizione risale al 1997 - sembra che non si riesca (non si sappia?) a realizzare un evento stabile nel tempo capace di celebrare/rispettare la memoria di uno dei più grandi sangiorgesi dei nostri tempi (non l'unico uomo di spettacolo considerata la grande personalità di Alghiero Noschese). La conseguenza di tutto ciò è la fine del premio ritenuto troppo costoso e troppo al di sopra delle possibilità di una cittadina come quella pre-vesuviana. Tante sono le domande che sorgono ma una riflessione vince su tutte: cosa penserebbe Massimo di queste cose? come vorrebbe essere celebrato? Io una mia personalissima idea ce l'ho e quella del festival, della "manifestazione" sarebbe solo l'ultima delle iniziative. Quanto vedrei bene l'associazione del nome di Troisi ad iniziative sociali contro l'emarginazione, di formazione contro ogni forma di convenzionalismo, a tutela della bellezza, contro la mala-politica. Ma questo resta sempre un parere personale. Rimane il fatto che Massimo Troisi è patrimonio di tutti quelli che hanno incontrato un aspetto della sua bellezza e non risulti strano se un bellissimo paese della provincia beneventana (a confine col Molise, così come si affrettano a ricordare i mezzi di comunicazione) decida di ospitare una rassegna dedicata all'attore, regista e sceneggiatore italiano. È Morcone, infatti, a celebrare l'eredità di Troisi con una manifestazione partita alla fine del maggio scorso e continuata dal 26 al 29 agosto. Un comune già noto per alcune iniziative culturali e sociali affascinanti quali la fondazione della scuola civica di musica"Accademia Murgantina" ed il premio "Sergei Rachmaninov". Ringraziando Morcone per aver rimediato all'abbandono napoletano, ci godiamo questo "Troisi Festival" in attesa di offrire alle nuove generazioni una traccia concreta dell'esempio di grandi personaggi del passato, senza retorica e all'insegna della "qualità".
venerdì 23 agosto 2013
IBIDEM a Nettuno
“Ibidem – Astrazioni necessarie” e le fotografie di Antonio Volpone al NettunoPhotoFestival.
22 agosto 2013 alle ore 15.22.
Dopo il successo del Festival di Corigliano Calabro si rinnova l’appuntamento con Antonio Volpone. Il Sannio, grazie alle fotografie dell’artista beneventano, sarà presentato al
NettunoPhotoFestival.
Si terrà sabato 24 Agosto 2013 alle ore 18.30 nella splendida cornice del cinquecentesco Forte Sangallo di Nettuno la presentazione del volume “IBIDEM – Astrazioni necessarie” di Antonio Volpone edito da IDEAS Edizioni. La presentazione ufficiale al pubblico consterà dell’intervento dell’Autore, di Enzo Carli - Docente di fotografia presso l’Università di Urbino, di Mario De Tommasi – demologo e di Luigi Giova – Conservatore dei Beni Culturali. Durante la serata sarà proiettato il video “Le distorsioni necessarie” regia di Antonio Pizzicato con i testi di Sandro Pedicini e le musiche di Alessandro Tedesco e Umberto Aucone.
L’evento è inserito all’interno del PhotoFestival “Attraverso le Pieghe del Tempo” conosciuto al grande pubblico anche come NettunoPhotoFestival. Rassegna annuale, giunta alla terza edizione e ideata e curata dall’Associazione Culturale laziale “Occhio dell’Arte” nella persona della sua Presidente Lisa Bernardini, che fra i suoi scopi ha quello di promuovere eventi artistici e culturali connessi ad opere di solidarietà sociale. La rassegna prevede diverse occasioni di incontro e di confronto fra fotografia, poesia e musica in un programma che è stato inaugurato il 20 agosto e terminerà il 1° settembre. Il coordinamento scientifico dell’iniziativa e’ affidato da questa edizione 2013 al Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell’Universita’ La Sapienza di Roma.
Anche quest’anno tante ed importanti le mostre visitabili e i fotografi premiati: Maurizio Galimberti, Luigi Erba, Tony Gentile, Diego Mormorio. Da segnalare all’interno del Festival, una importantissima lettura portfoli. Sabato 31 Agosto la rivista nazionale FOTOGRAFIA REFLEX, con la collaborazione di Occhio dell'Arte, promuove infatti REFLEX DAY, una lettura portfoli che si svolgerà nell’arco dell’intera giornata. I lettori saranno, per conto della Rivista, il Direttore GIULIO FORTI; Roberto Mutti (LA REPUBBLICA), Luigi Erba (Fotografo e critico), Santo Eduardo Di Miceli (Fotografo e docente di fotografia). Membri onorari della Giuria il superospite straniero di quest’anno, il pluripremiato fotografo spagnolo Pep Escoda (Curatore SCANN OFF – Festival Tarragona), Tony Gentile (STAFF REUTERS - lettore portfolio solo nella fascia oraria 11.00-12.30) e Vittorio Graziano (fotografo e Direttore Artistico MED PHOTO FEST).Le stesse persone faranno parte di una giuria presieduta dal Maestro Franco Fontana che assegnerà tre premi ai migliori portfoli.
Altre iniziative previste durante il festival: conferenze ed incontri culturali,spettacoli serali tra attualità e contaminazioni di linguaggi artistici diversi, proiezioni, workshop, presentazione di numerosissimi libri.
La Direzione Artistica generale ed il coordinamento del NettunoPhotoFestival sono ad opera esclusiva di Lisa Bernardini, che oltre ad essere fotografa e Presidente dell'Occhio dell'Arte è ideatrice di questa Rassegna mentre la Direzione Artistica delle mostre d'Autore è affidata al critico fotografico italiano Roberto Mutti.
CATALOGO PDF del PhotoFestival "Attraverso le Pieghe del Tempo" EDIZIONE 2013
http://www.occhiodellarte.org/documenti/c26ac85b736089b802dbf4c266571438.pdf
Sabato 24 Agosto - Sala Sigilli
“IBIDEM” – Astrazioni necessarie di Antonio Volpone
Inizio: ore 18.30
Interventi: Enzo Carli - Docente di fotografia presso l’Università di Urbino
Mario De Tommasi - Demologo
Luigi Giova – Conservatore Beni Culturali
Antonio Volpone - Autore
Con proiezione video “Le distorsioni necessarie” di Antonio Pizzicato con musiche di Alessandro Tedesco e Umberto Aucone.
La vendita del libro di Antonio Volpone e l’intero progetto IBIDEM nascono per finanziare gratuitamente corsi di fotografia per persone non abili.
Con il patrocinio morale di: Provincia di Benevento, Comune di Pietrelcina, Comune di Paduli, Comune di Apice, Comune di Torrecuso, Comune di Guardia Sanframondi, Comune di Benevento
giovedì 22 agosto 2013
Viaggio nella provincia: San Bartolomeo in Galdo
San Bartolomeo in Galdo per quanti come me risiedono tra Benevento e la provincia a ridosso della città rappresenta il baluardo estremo, il paese incastonato nel fortore a guardia del territorio. Fino a qualche mese fa non avevo mai visitato questo comune e non mi era capitato neanche di passarci o conoscere qualcuno del posto. Non che il paese non mi fosse noto, ma la distanza e la scarsa accessibilità non hanno mai necessitato una visita. Quanti mi parlavano di San Bartolomeo hanno sempre sottolineato che "...il paese è grande" e che, soprattutto, "su molte cose sono molto più organizzati dei comuni più vicini al capoluogo". Altri motivi di menzione erano legati alle eternamente tribolanti vicende dell'ospedale e alla non meno complicata storia della "fortorina", arteria stradale che da oltre 50 anni è annunciata e attesa come elemento di modernità (e che, probabilmente, è stata cominciata solo grazie alla notorietà raggiunta da Pietrelcina intorno all'anno 2000).
Raggiungere San Bartolomeo è una esperienza visiva ed emotiva. Partendo da Benevento e volendo percorrere tutto il (pre) fortore si ha un'idea completa di questo territorio, delle sue bellezze, delle sue emergenze. Superata Pietrelcina ci sono due possibilità: attraversare Pesco Sannita, tagliare per la frazione di Monteleone e superare San Marco dei Cavoti, oppure costeggiare il comune di Pago Veiano, scendere a Calise ed arrampicarsi fin dopo Molinara. Da qui in poi, escludendo le varie scorciatoie che i vari esperti della zona giureranno di conoscere, il percorso si congiunge. La prima meta è una meta dell'immaginario per molti "cittadini": Casone Cocca, il 'valico' fortorino a partire dal quale si incomincia ad essere accompagnati dalla costante presenza delle più o meno giganti pale eoliche. Arrivare a Foiano non è molto agevole, sia per i continui rallentamenti obbligati dalle frequenti curve che per la qualità dell'asfalto, fermo restando che risulta davvero difficile trovare un traffico sostenuto e c'è tutto il tempo per godersi gli scorci offerti soprattutto dal lato destro della strada. Foiano di Val Fortore è praticamente attraversato in mezzo ed il campo sportivo chiude il confine del paese proiettando la strada verso San Bartolomeo. Qui ritorna una presenza costante in tutto il percorso da San Marco: il bosco. Sembra, infatti, che l'origine del nome del più importante comune del fortore vi sia, di fianco al rimando al culto del patrono beneventano, il toponimo di radice germanica wald (foresta). Il bosco accompagna il viaggio ed è già alle spalle una volta raggiunto il bivio Ponte Sette Luci. Sulla sinistra pochi km separano da Baselice ed un'ultima salita fitta di curvoni conduce fino ai circa 600 mt di San Bartolomeo in Galgo. Dicevo in apertura che queste righe sono ispirate da una esperienza personale, quindi "vera" quanto può essere legittima la soggettività. Arrivati a San Bartolomeo ci si rende conto che non esiste un vero e proprio "ingresso" e risalta evidente la divisione in due dell'abitato con il centro storico molto ampio della zona di più moderna urbanizzazione. Il comune non appare molto abitato a dispetto della grandezza e i poco più di 5000 abitanti (numero comunque notevole per un comune del beneventano) da solo basta a chiarire molto del declino del nostro territorio nell'ultimo sessantennio. San Bartolomeo solo negli anni '50 superava le 10.000 unità (regressione demografica che non ha risparmiato alcun comune sannita).
A dispetto delle difficoltà legate ad una innegabile marginalità logistica (la stazione più vicina si trova in un'altra provincia e l'unico bus per/da Benevento ha 2 corse giornaliere solo nei giorni feriali), il comune è dotato di numerosi servizi (tutti i gradi scolastici compreso un liceo Scientifico ed una "Università Popolare del Fortore" ), un ufficio postale attivo con frequenza giornaliera (spesso è un lusso anche questo nella nostra provincia), farmacia, cinema, biblioteca, un'area Wi-Fi free e tanti altri che non ho avuto modo di riscontrare nella mia breve frequentazione.
San Bartolomeo si presenta ai miei occhi una cittadina pulita e curata. Con frequenza ho ammirato delle persone (operai comunali?) intenti nel riordinare fioriere ed aiuole. Il centro storico - in parte carrabile solo dai residenti e dai proprietari dei numerosi negozi - si sviluppa lungo via L. Bianchi e il Corso Roma interrotte solo dalle piazze Municipio e G. Garibaldi. Altre stradine e piazzette più appartate completano il centro che si spegne lungo l'ampia via P. Circelli dove di tanto in tanto sosta qualche banco di verdure e prodotti delle campagne limitrofe. Poco lontano da piazza Garibaldi, il venerdì mattina, non manca l'allestimento di un piccolo mercato del pesce. Pesce che non manca neanche nel menù di alcuni ristoranti del posto (di cui uno molto noto nella provincia). Il mio interesse per San Bartolomeo è soprattutto socio-antropologico e gli incontri, le immagini e i discorsi rubati nelle stradine mi parlano di un paese con una forte connotazione comunitaria ed identitaria. Gli abitanti appaiono discreti sebbene molto cordiali se invitati al dialogo. Dalla scuola alla piazza si denota una costante propensione e ricerca della condivisione che contribuisce all'instaurazione di un clima familiare anche agli occhi dell'osservatore. Le difficoltà non mancano e i tanti portoni chiusi, le finestre sbarrate, i pochissimi giovani tra i 20 e i 40 anni e i numerosi anziani che passeggiano in piazza, sono il manifesto delle sconfitte del nostro territorio e della voglia/consapevolezza di dover andar via. Le opportunità che restano sono tutte figlie del passato e delle ricchezze di madre natura. San Bartolomeo, al di là della curiosità di aver dato i natali alla madre di Rocky Marciano, si lustra di aver visto nascere la personalità di Leonardo Bianchi, del maestro Egidio Cirelli e di altri uomini con una importante storia umana e professionale. Non mancano luoghi e manufatti di interesse storico: la Chiesa di San Bartolomeo con il bel rosone, i due portali del XV sec. e la nuova porta di bronzo; la seicentesca Santa Maria degli Angeli con annesso convento dei frati minori; il palazzo Catalano e il palazzo Martini. Probabilmente troppo poco per pensare/sperare in un turismo appositamente dedicato. Non ho tanto tempo a disposizione e, incuriosito da un murales, faccio qualche domanda in giro e scopro una storia di protesta e rivendicazioni che mi riporta fino al 1957. Una delle tante vicende che dovrebbero echeggiare nei nostri programmi scolastici e che parla di un gruppo di coraggiosi che nel giorno della Domenica delle Palme decisero di urlare le proprie disgrazie fin sotto il Palazzo di Roma capitale. Fu chiamata "Marcia della fame" sebbene s'interruppe con la forza a pochi km dal paese. Un gesto incompiuto raccontato diversi anni dopo da Carrasco e dagli Inti-Illimani attraverso un murales e al quale dedicò un documentario il grande Ugo Gregoretti. Dal 2010 è stata definitivamente riscoperta questa pagina di storia ed ogni anno un murales celebra un tema ricorrente. Anche alla luce di quest'ultima scoperta, mi convinco sempre più che la più grande risorsa di e per San Bartolomeo siano i suoi cittadini e la loro capacità di reinventare il proprio futuro prossimo. Tutto ciò all'interno di una dimensione identitaria con valori sui quali investire evitando il più possibile una folclorizzazione degli stessi. Lascio San Bartolomeo in un giorno speciale per i suoi abitanti. Non vi è strada non occupata dai residenti della zona intenti a colorare con petali e ornamenti l'asfalto di viali più o meno principali. È Il Corpus Domini ed i sanbartolomeani si preparano a vivere un nuovo rito collettivo.
venerdì 16 agosto 2013
Festa del Grano di Foglianise
I nostri comuni si arricchiscono di espressioni e linguaggi che interpretano e traducono segni identitari che si formano per evolversi durante il corso della storia. È raro trovare una festa patronale, un rito comunitario che non affondi le proprie motivazioni iniziali nel ciclo delle stagioni. Le stesse celebrazioni cristiane, se guardate con attenzione, ci offrono una lettura precisa ed ordinata di pratiche che, nella propiziazione e nel ringraziamento per uno sperato benessere, si sono radicate nei costumi dei gruppi sociali. Dal solstizio d'estate di San Giovanni Battista fino a quello invernale che scandisce il Natale i popoli hanno sempre fatto i conti con la dipendenza dai frutti del creato, ieri (con i raccolti) come oggi (con gli approvvigionamenti energetici). Un periodo di grande concentrazione di rituali di ringraziamento è quello estivo con il mese di agosto a fare da protagonista. È, infatti, in queste settimane che si concentrano numerosi rituali legati al ciclo del grano che, nella maggioranza dei casi, prevedevano (e in alcuni casi prevedono tuttora) offerte "dell'oro della terra" al santo o alla madonna di turno. Il nostro Sannio non è escluso da questi usi e le Madonne delle Grazie, della Libera, del Carmine, della Strada sono un esempio relativamente noto. Questo discorso ci conduce inevitabilmente alle "feste del grano" diffuse in molti centri in particolare del centro-sud Italia. Questi moderni eventi tradizionali, sebbene collegati a pratiche diffuse in tantissime comunità rurali (ovvero, l'offerta di grano al "santo"), in alcuni territori sono sopravvissuti al tempo ed hanno subito delle specifiche evoluzioni proprie di ogni esperienza di tradizione. La manifestazione beneventana più nota (insignita anche del riconoscimento della Regione Campania quale "grande evento di rilevanza nazionale ed internazionale") è sicuramente quella di Foglianise, sebbene tuttora persistono iniziative simili anche a San Marco dei Cavoti, a San Lorenzo Maggiore e a Faicchio. Il "rito del grano" di Foglianise, almeno nella sua motivazione moderna (dal 1700 riceviamo le prime documentazioni), è collegato al culto di San Rocco, santo protettore dalle epidemie. L'origine di questo costume si fa risalire a diversi culti (tra i quali quello della dea "Fortuna Folianensis") ed in maniera molto generica si può collocare nelle numerose manifestazioni pagane inserite in quelle che i romani chiamavano "Feriae Augusti". Pariteticamente ad altre esperienze, le manifestazioni di ringraziamento e devozione riguardavano il trasporto di covoni di grano trainati da buoi o altri animali di fatica. Il collegamento diretto di questa tradizione con il culto di San Rocco è presumibile sia cominciato con l'arrivo di una reliquia del Santo di Montpellier nel 1727, momento storico che seguì a decenni in cui si erano diffuse molte pestilenze nella penisola italiana. La venerazione a San Rocco quale protettore dalle epidemie si è estesa fino al '900, secolo in cui i cittadini di Foglianise si sono rivolti all'intercessione del Santo anche solo come tentativo di prevenzione (così come accadde in occasione dell'ultima epidemia di colera che colpì Barcellona, Cagliari, Bari, Palermo e Napoli nel 1973).
A Foglianise più che in altre comunità le manifestazioni votive hanno assunto delle caratteristiche indigene che hanno evoluto linguaggi e motivazioni iniziali. I carri di grano a partire dalla seconda metà del 1800 cominciarono ad arricchirsi di ghirlande di spighe, intrecci e ornamenti composti da fili di grano fino a trasportare delle vere opere d'arte che in tempi recenti mirano ad omaggiare a turno le diverse regioni italiane. Il 2013 è stato l'anno della Calabria e tra le rappresentazioni più suggestive vi erano i famosi "Bronzi di Riace" che, scortati dal gruppo folk "Fortuna Folianensis", dalla banda musicale di Torrecuso e dalle donne del "Gruppo Ceste", hanno ricevuto la benedizione di don Nicola all'ombra della statua di San Rocco vestito a festa e salutato le strade di Foglianise. Io sono da poco rientrato col gruppo di ricerca di IDEAS che sta lavorando ad un documentario su questa tradizione e mi restano in testa immagini, occhi lucidi di devozione, sorrisi della festa e penso alle ulteriori opportunità che potrebbero offrire al nostro territorio i linguaggi della nostra identità. Foto della ricercatrice Maria Scarinzi
giovedì 15 agosto 2013
Ferragosto, le "vacanze di Augusto"
Dal latino Feriae Augusti (vacanze di Augusto) è una festa di origini pagane evolutasi con l'arrivo del cristianesimo.
In coincidenza con l'intitolazione ad Augusto del sesto mese del calendario romano, il precedente rituale della Consualia (celebrante l'immagazzinamento dei raccolti) si evolvette in periodo dell'anno in cui celebrare numerose ricorrenze legate ai culti pagani. Vertumno, Opi, Opiconsiva, Giano, Venere, Diana si veneravano per la fertilità dei campi ed erano tra le rare occasioni in cui ai diversi ceti sociali venivano concessi alcune insperate libertà (analogamente al periodo carnevalesco).
I culti femminili, di cui Diana offriva le caratteristiche più "modellabili", si prestavano agevolmente ad interpretare le nuove prerogative dei dogmi cristiani e degli attributi della Madonna.
I riti collettivi e gli eccessi delle Ferie Augusti raggiungevano il loro massimo il 15 del mese e solo con il passare di molti secoli la Chiesa riuscì a trasformare la festività nella celebrazione dell'Assunzione in cielo di Maria Vergine. La celebrazione si estese a tutto l'Impero Romano (d'Oriente) intorno all'anno 1000 sotto l'imperatore Maurizio. Il dogma secondo cui la Vergine sarebbe stata assunta in cielo a Ferragosto è stato ufficializzato solo nel 1950 da papa Pio XII. Sono numerose le località in cui si celebra l'Assunta. Palermo, Genova, Milano, Sassari allestiscono numerose processioni e celebrazioni eucaristiche.
Tutt'oggi questa giornata non ha smarrito la sua dimensione identitaria mantenendo quella connotazione "feriale" propria del mese di Augusto. Noi tra mare, pic-nic e devozione per l'Assunta continuiamo a celebrare la nostra festa di mezza estate.
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mercoledì 14 agosto 2013
Casalduni e Pontelandolfo 14 agosto 1861
Il 14 agosto per gli abitanti di Casalduni e Pontelandolfo (e per molti meridionali) è un giorno dalla triste memoria. Sono state scritte tante parole che hanno tentato di condannare, di difendere, di commemorare, di oscurare dei fatti storici dai tragici risvolti (comunque li si voglia leggere). Il dato certo è che quella del risorgimento italiano rimane tuttora una storia negata. Contorta da molti dei suoi carnefici e oscurata alle memoria dei suoi eredi.
Fedele ad un approccio meramente fotografico e scientifico alla storia, voglio ricordare quel giorno attraverso le parole di Mario D'Agostino dedicate a "La reazione borbonica in provincia di Benevento" (Fratelli Conte Editori). Il suo interesse per nulla animato da sentimentalismi e revisionismi, offre una lettura lucida e cronistica di quei fatti.
"All'alba del giorno 14 agosto il maggiore Carlo Melegari entrò in Casalduni alla testa dei suoi uomini. Qui, trovato il paese deserto, diede ordine di incendiare le case dei reazionari, a cominciare da quella del sindaco Luigi Orsini. Solo alcuni malcapitati che non avevano fatto in tempo a fuggire, o non avevano potuto, vennero freddati dai bersaglieri a colpi di fucile. Fu questa la sorte che toccò a Lorenzo d'Urso, al vecchio arciprete e ad un malato che stava tentando di alzarsi dal suo letto. Quella stessa mattina, dopo che la truppa regolare aveva lasciato il paese, vi entrò Achille Iacobelli alla testa di una colonna di guardie nazionali di San Lupo e Guardia Sanframondi, seguita da sette carri. Una parte di questi uomini, pratica dei luoghi, passando dalla porta del giardino, si introdusse nella casa di Giovanni, Giuseppe e Saverio Mazzaccara (quest'ultimo capitano della guardia nazionale di Casalduni) assentatisi dal paese per paura di essere presi di mira dai reazionari. Qui fecero man bassa di gioielli, argenteria, vestiario e denaro per un valore complessivo di circa 3788 ducati e, nell'andar via, incendiarono due fienili situati poco lontano dall'abitazione provocando un ulteriore danno di 350 ducati. Prima di lasciare Casalduni, infine, rubarono anche del grano a Giuseppe Romano per un valore di 85 ducati. Ben più grave fu il bilancio della spedizione punitiva di Pontelandolfo. Qui, quando all'alba del 14 agosto giunsero i soldati del colonnello Negri e gli uomini di De Marco, Cosimo Giordano che si era accampato con la sua banda nei pressi dell'abitato fece sparare solo qualche colpo prima di ordinare la ritirata. Fu così che tutti gli abitanti vennero sorpresi nel sonno (tranne, naturalmente, quelli più compromessi che si erano allontanati per tempo). E fu una vera carneficina. Ben 13 persone, infatti, senza distinzione di sesso e di età, caddero sotto i colpi dei bersaglieri mentre l'intero paese veniva dato alle fiamme, fatta eccezione per le case dei liberali (...) e per la torre medioevale (...) L'episodio, per la verità, destò qualche perplessità anche tra le fila degli stessi piemontesi "... Gli abitanti di questo villaggio - scriveva in quei giorni il sottotenente Gaetano Negri a suo padre - commisero il più nero tradimento e degli atti di mostruosa barbarie; ma la punizione che gli venne inflitta, quantunque meritata, non fu meno barbara".
martedì 13 agosto 2013
Anno Viglioniano
In questo 2013 tra le numerose e varie manifestazioni che si susseguono nel Sannio beneventano c'è una particolare ricorrenza che avvicina due comunità del fortore: Molinara e Pesco Sannita. I due comuni, infatti, sono legati alla personalità dell'arciprete Giandomenico Viglione vissuto oltre un secolo fa e ricordato per i numerosi scritti (drammi, melodrammi, farse teatrali) che hanno lasciato una traccia significativa nelle tradizioni locali (su tutti il "Dramma di Santa Reparata"). In occasione del centocinquantesimo anniversario della nasciata dell'arciprete è stato istituito l'anno Viglioniano in ricordo di una figura influente e appassionata al proprio territorio. La ricorrenza verrà osservata con una due giorni -13 e 14 agosto- in cui si presenterà una pubblicazione curata da Mario D'Agostino dal titolo "Miscellanea" che raccoglie una serie di opere del Viglione.
Stasera a Molinara e domani a Pesco Sannita sarò con IDEAS (che ha editato il libro) per due belle occasioni culturali che riguardano il passato e il presente della nostra Terra.

lunedì 12 agosto 2013
Una storia dimenticata. Diario (immaginato) di un pietrelcinese nella notte di San Lorenzo del 1861
Quello di agosto è un mese dell'immaginazione, delle vacanze. Dall'infanzia scopriamo il bello della festa prolungata e da adolescenti impariamo a sognare in una notte più stellata delle altre. Per i contadini di un tempo il ritmo della vita è quello di sempre. La trebbia ha appena solcato i campi dorati, il tabacco è alto e vigile e i pomodori sempre più rossi.
Ogni anno nella notte do San Lorenzo sarebbe bello dedicare un pensiero ad una tragica notte del 1861. Molti pietrelcinesi persero la vita senza conoscere i motivi di questa sorte e il tempo ha oscurato totalmente questa storia alla memoria dei più. Vi propongo una pagina immaginata di un diario di un ragazzo che assisté a quegli eventi. Vi posto anche il link di un video estratto dello spettacolo prodotto da IDEAS e messo in scena due anni fa in occasione delle ricorrenze legate al centocinquantenario dell'unità.
"A Pietrelcina agosto è un mese prediletto. Da molte settimane è già pronto il programma della festa e la Madonna de' Carre (Madonna della Libera) è adorna d'oro ancora una volta. C'è la processione, il concerto della banda, il palio, la corsa nel sacco e sono in tanti ad omaggiare la Madonnella da Paduli, da Pago Veiano, da Pesco Sannita, da Molinara.
10 Agosto 1861, lunedì scorso era ancora Festa ma questo è un anno particolare, oggi ci chiamiamo italiani e scopro che esiste un altro potere, un'altra cultura che arriva da molto lontano, da una terra che credevo si chiamasse Francia.
È ancora buio ed una colonna di soldati si avvicina al mio paese scontrandosi con alcune bande di reazionari che quel nuovo stato proprio non lo vogliono. Il capo di queste ultime ha uno contranome bizzarro, ma in fondo chi è conosciuto con il nome proprio dalle nostre parti! Lo chiamano Pilorusso e viene da Colle Sannita. Dopo uno scontro terribile viene messo in fuga con i suoi compari ma qualcuno addirittura ci lascia la pelle. Quei soldati decidono che devono entrare in paese per effettuare un rastrellamento e nella confusione decidono che siamo tutti briganti. Sfondano i portoni delle nostre case, arrestano tanti pucinari e tra questi ci sono anche alcuni mie amici della cantina. Non ho il tempo di avvisare mio padre - che quella notte era rimasto alla masseria - che sentii dei botti. Erano colpi di fucile e quei pietrelcinesi videro per l'ultima volta a chiazza e la Chiesa della Madonna nostra".
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domenica 11 agosto 2013
Due righe su di me
Un percorso di studi e di passioni eclettiche ha da sempre caratterizzato la mia formazione. L'amore per l'arte e per la storia, per la musica e per lo studio del pianoforte, il legame con la dimensione folklorica delle piccole comunità e la ricerca dei loro valori identitari, la pratica costante di sport come il calcio e la subacquea, i concerti, i libri, la drammaturgia del teatro napoletano. Queste alcune aree di interesse che contribuiscono alla maturazione di una personalità votata alla scoperta e all'incontro con l'altro e che non manca di lasciare spazio a momenti di riflessione e di ricercato isolamento. 30 anni ed una moglie splendida caratterizzano un percorso che, nel presente e nel prossimo domani, concentra le piccole grandi bellezze della vita.
sabato 10 agosto 2013
PERCHÉ QUESTO BLOG
Questo blog vuole provare nel suo piccolo a dare visibilità a quelle testimonianze culturali dalle quali molto scopriamo del passato del Sannio beneventano e da cui si potrebbe partire per tracciare una strada per uno sperato nuovo futuro. Un punto di visibilità ma anche di confronto tra diverse voci. Spazio particolare è dato al folklore nel senso letterale della parola. Un ambito nel quale il mio ruolo di operatore culturale e di ricercatore dei beni DEA ha lo scopo di stimolare riflessioni.
Tra le grandi criticità che da sempre i nostri territori (meridionali) hanno ostentato vi è, a mio avviso, l'incapacità di "stare insieme" per la costruzione di quel tanto pubblicizzato bene comune. La denigrazione delle idee altrui, la concorrenza a tutto costo, la diffidenza rispetto alle filiere, alle reti, ai marchi comuni. Ci sono sicuramente motivazioni storiche, culturali e responsabilità figlie della politica (ma, in fondo, la politica come lo Stato siamo noi). Di fianco a tutto questo esiste - o, meglio, persiste - una vitalità di linguaggi che da quella stessa "storia problematica" hanno ereditato un tratto identitario che si riflette in tante piccoli grandi esempi culturali. Dalla transavanguardia al teatro, dal jazz ai gruppi folklorici. Tutto questo in uno spazio territoriale in cui non manca il contributo di bellezza di madre natura e tutte quella eredità di usi e costumi che da essa ne derivano.
Il mio piacere è quello di condividere e farmi portavoce di esperienze, incontri, ricerche, piccoli saggi, immagini, testimonianze, progetti etc. derivanti dal mio lavoro in giro per il Sannio tra convegni e laboratori culturali, tra feste popolari e ricchezze ereditate dalla nostra memoria.
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